QUARTA TESI: LA PSICOANALISI DIALETTICA
Se la grande scoperta della psicoanalisi delle origini è stata lo svelamento del meccanismo della “proiezione”, il meccanismo cioè che fa sì che l’essere umano proietti fuori da sé i propri contenuti inconsci che, pur premendo per venire alla luce, non riescono a essere assimilati alla coscienza, si fa oggi possibile comprendere che è proprio la separatezza tra soggetto e oggetto che deve essere trascesa in ogni sua prospettiva. Il meccanismo della “proiezione”, che era stato svelato come circoscritto all’ambito della vita psichica personale, viene ora assunto come universalmente valido nella relazione con l’oggetto, così che tutto ciò che si dà fuori di noi è il risultato della proiezione, che opera a nostra insaputa. Infatti, nel pensiero oggettivante, la psiche viene trattata alla stregua di un oggetto da descrivere, mentre il salto epistemologico che si può realizzare consiste nel restituire al soggetto conoscente la possibilità del dialogo con la sua oggettualità, che viene svelata come prodotto della sua proiezione; e la sua oggettualità è proprio la sua psiche, cioè il vissuto che egli riconosce in se stesso, e che gli si presenta però, in prima istanza, come altro da sé.
Può iniziare così il dialogo tra il soggetto e il suo vissuto, e l’identità stessa del soggetto può progressivamente spostarsi dal soggetto conoscente, andando a coincidere con la “funzione riflessiva”, che nasce dal dialogo tra psiche conscia e inconscia. In altri termini, non è più l’uomo che parla di “ciò che è”, bensì è “ciò che è” che si conosce attraverso l’occhio dell’uomo che si fa disponibile al dialogo; tale è il passaggio dal pensiero oggettivante al “pensiero dialettico”, che consente il superamento del dualismo tra soggetto e oggetto, tra spirito e materia.
E’ nella prassi del lavoro psicoanalitico – così come teorizzato da S. Montefoschi – che si realizza il salto; a partire dalla relazione analitica, che si presenta come il modello della relazione intrapsichica e interpsichica, si pone in evidenza la presenza di due modelli: quello dell’interdipendenza (senza il quale non c’è relazione) e quello dell’intersoggettività (senza il quale non c’è libertà), e la necessità di compiere il passaggio dall’uno all’altro. L’interdipendenza, fondandosi sulla rigidità dei ruoli complementari (attivo-passivo, maschile-femminile) e sul soddisfacimento della bisognosità reciproca, stabilisce la relazione empatica, ma nega la libertà. L’intersoggettività, trascendendo la rigidità dei ruoli e la reciproca bisognosità, realizza la libertà dei due soggetti che si uniscono nell’amore.
Infatti nell’intersoggettività l’identificazione dell’individuo con il soggetto conoscente è trascesa (avendo egli riconosciuto il così detto oggetto consustanziale a sé), mentre l’oggetto stesso (l’altro nel discorso) assume lo statuto dell’essere portatore di un discorso soggettivo; si realizza così quel “canto corale”, che travalica la dialettica intrapsichica entrando anche nell’ordinamento sociale.
Il passaggio dall’interdipendenza all’intersoggettività si presenta, però, come molto doloroso per il soggetto conoscente, perché dalla separazione tra soggetto e oggetto ha tratto origine la sempre maggiore conoscenza di sé, che il soggetto ha raggiunto fino a quel momento; quindi l’essere umano si trova lacerato tra l’anelito al superamento di questa separazione e il bisogno di permanere nella vecchia identità, grazie alla quale ha costruito la propria storia. Già Freud aveva colto la tendenza regressiva del soggetto a ricongiungersi con la sua oggettivazione, quale espressione del bisogno del soggetto di controllare le angosce di separazione. Avendo letto nella pulsione al ricongiungimento il dramma edipico, Freud aveva tuttavia additato la non violabilità del tabù dell’incesto come la condizione necessaria per lo sviluppo della civiltà. Al contrario, Jung considera l’infrazione simbolica del tabù dell’incesto come la condizione imprescindibile che dà origine alla nuova conoscenza; infatti, ridando autonomia e soggettività all’inconscio, indica nella ripetuta infrazione della separatezza tra coscienza-inconscio la via che apre al processo individuativo. Ma Jung confina tale infrazione all’interno della dinamica intrapsichica, quindi su un piano puramente simbolico, pena l’inflazione egoica e il conseguente ritorno alla confusività edipica, che blocca il processo individuativo.
Il compito – secondo la testimonianza di Montefoschi – sembra ora quello di portare la dinamica relazionale a un livello nel quale sia possibile andare al di là del tabù dell’incesto quale condizione per trascendere davvero (e non solo sul piano della vita simbolica) la dinamica edipica. Perché ciò accada, occorre che siano la vita concreta, la materia, il principio femminile, a essere recuperati alla dialetticità del discorso, e si possa pertanto superare, nell’incessante movimento dialettico, la separatezza tra soggetto e oggetto, tra individuale e universale. Così, l’andare al di là del tabù dell’incesto significa infrangere l’ordine sociale precedente, a partire dai ruoli rigidi e precostituiti all’interno della relazione analitica. Ma l’Edipo viene davvero superato solo quando a congiungersi sono due soggetti, quando cioè, superata l’interdipendenza, l’intersoggettività pone l’oggettualità come altro soggetto del discorso d’amore, pena il ricadere nella dinamica edipica, che corrisponde al congiungimento confusivo e regressivo del soggetto nell’oggetto. Al contrario, quando la relazione è tra due soggetti (sia nella dimensione intrapsichica, sia in quella interpsichica), essendo venuto meno il bisogno di controllare l’altro del discorso costringendolo in ruoli prestabiliti, viene meno la dinamica edipica e, con essa, la necessaria funzione contenitiva del tabù dell’incesto.